Da circa due anni, in particolare in chirurgia ortopedica, ma in rapida diffusione anche in altre branche chirurgiche, viene utilizzato il protocollo ERAS che garantisce al paziente un recupero rapido e di fatto più efficace.
Ne parliamo con il dottor Matteo Libroia, Responsabile del progetto ERAS in Humanitas San Pio X.
Che cos’è il progetto ERAS?
“Il termine ERAS è un acronimo e significa recupero ottimizzato dopo chirurgia. È un protocollo di gestione del paziente chirurgico, nato negli anni Novanta a opera di un chirurgo generale danese, il dottor Kehlet.
Valutando la gestione del paziente nel pre e nel post operatorio, il dottor Kehlet aveva notato che molte delle pratiche che venivano applicate rispondevano più ad abitudini che a logiche assistenziali valide. Al paziente, per esempio, veniva richiesto di non assumere né liquidi né solidi dalla mezzanotte prima dell’intervento; un digiuno che lo conduceva già disidratato e senza energie in sala operatoria. Inoltre, nel post operatorio, il paziente veniva spesso tenuto a letto per alcuni giorni, magari senza poter mangiare o bere per molte ore a seguito dell’intervento, e con l’utilizzo di vari tubi tra flebo, cateteri e drenaggi. Una condizione che andava profondamente ad appesantire una situazione già di malattia”, spiega il dottor Libroia.
Come avviene la gestione del paziente chirurgico con il protocollo ERAS?
“Il progetto ERAS, consiste di tre fasi di ottimizzazione del paziente stesso: una fase pre-operatoria, una intra-operatoria e una post operatoria.
Nella fase pre-operatoria, il paziente viene preparato al meglio per affrontare l’intervento. Si pensi a un maratoneta che vuole affrontare la sua prima maratona: se l’allenamento comincia qualche settimana prima e non è adeguato, difficilmente l’atleta riuscirà a portare a termine l’impresa con successo. Lo stesso vale per l’intervento chirurgico: quanto meglio ci si prepara prima, tanto migliori saranno i risultati. Ci dedichiamo quindi a ottimizzare lo stato generale del paziente nel pre operatorio: riducendo il peso corporeo se in sovrappeso, diminuendo o abolendo il fumo e il consumo di alcolici, ottimizzando le eventuali terapie e compensando un’eventuale anemia. L’obiettivo è portare il paziente in sala operatoria nelle migliori condizioni possibili, con un’attenzione particolare, in ortopedia, alla gestione del dolore.
In fase intra-operatoria ci dedichiamo soprattutto a fare in modo che il gesto chirurgico sia il meno invasivo possibile. Poniamo attenzione al rispetto delle strutture anatomiche con accessi chirurgici sempre meno invasivi, riduciamo le perdite di sangue, controlliamo la temperatura corporea e l’apporto di liquidi e soprattutto iniziamo a gestire, fin dalla sala operatoria, il dolore, che nel nostro protocollo è sicuramente l’aspetto più importante: un paziente che non avverte dolore nel post operatorio risponderà sicuramente meglio e più in fretta al recupero.
La fase post-operatoria è dedicata a garantire al paziente il ritorno a una condizione normale il prima possibile. Cerchiamo quindi di farlo tornare a mangiare, a bere e a muoversi autonomamente nel minor tempo possibile. Questo vuol dire ridurre al minimo flebo, cateteri, drenaggi, digiuno e allettamento post operatorio.
In ortopedia protesica, per esempio, cerchiamo di mettere seduti o addirittura in piedi i pazienti già nel pomeriggio dopo l’intervento, una pratica impensabile fino a poco tempo fa.
La gestione del dolore è il punto cardine del nostro protocollo: interventi come la protesi di ginocchio, un tempo tra i più dolorosi in chirurgia, sono oggi assolutamente ben tollerati grazie a un approccio multimodale che comprende vari farmaci, anestesie locali e blocchi antalgici, che agiscono in maniera sinergica sule varie cause del dolore post operatorio”, ha sottolineato lo specialista.
I risultati
“I risultati sono sorprendenti. I pazienti gradiscono molto il ritorno rapido alla normalità. Sentendo poco il dolore e potendo riprendere le proprie abitudini, reagiscono in maniera ottimale alla convalescenza, al punto che molto spesso i pazienti operati per protesi di anca o di ginocchio, dopo 4 o 5 giorni dall’intervento, chiedono di poter andare a casa perché hanno già raggiunto un livello di autonomia tale da sentirsi sicuri e autosufficienti.
Un lavoro di squadra con un obiettivo importante: fare sempre il meglio per il paziente”, ha concluso il dottor Libroia.
Dietro a questi risultati, ovviamente, c’è un enorme lavoro da parte di tante figure professionali che ruotano intorno al paziente: il chirurgo, l’anestesista, l’infermiere, il fisioterapista, fino alla nutrizionista e all’OSS (operatore socio sanitario).